Si è svolta ieri sera nella sala consiliare del Municipio di Pianopoli la festa per omaggiare il ritorno a casa di Francesco Scalise (le foto a lato sono di Enzo Cittadino) operaio sessantatreenne pianopoletano rapito in Libia nello scorso mese di gennaio liberato pochi giorni fa insieme ad un altro suo collega di Feroleto Antico, Luciano Gallo. Ad accoglierlo nella sala consiliare col suono della banda musicale oltre alle autorità cittadine rappresentate dal sindaco Gianluca Cuda, dal parroco Mons. Tommaso Buccafurni e dal luogotenente della locale caserma dei carabinieri Carmelo Carchidi anche il sindaco di Lamezia Terme Gianni Speranza. Visibilmente commosso ed emozionato, confortato dalla presenza della sua famiglia e dagli amici, Francesco Scalise non è riuscito a trattenere le lacrime nel ricordare brevemente la triste storia che ha vissuto. Per tutto il tempo – come ha raccontato nei giorni successivi alla liberazione- ci hanno legati e chiusi al buio. Da mangiare ci davano pochissimo ed ho perso in 22 giorni oltre venti chili; inoltre comunicavamo solo a segni poiché non capivamo la loro lingua. Dal racconto di Scalise è emerso che non sono stati maltrattati ma è stata comunque una prigionia molto dura, rinchiusi al buio, senza nessun contatto con l’esterno e all’oscuro di quello che stava accadendo. Scalise ha comunque voluto ringraziare il sindaco Cuda, il parroco don Tommaso e tutti i suoi compaesani ed amici che durante la sua prigionia sono stati vicini alla sua famiglia incoraggiandola ad avere fiducia. Ed inoltre un ringraziamento anche per la bellissima festa organizzata per il suo ritorno felice in Patria nel suo paese natio dal quale diversi anni fa è stato costretto a partire per cercare lavoro. Oggi Francesco, che è un escavatorista con molti anni di esperienza sulle spalle, non intende più ritornare in Libia ma spera tanto che qualcuno gli possa offrire un lavoro qui in Calabria per potersi godere la sua splendida famiglia nella sua Pianopoli. L’esperienza che ha vissuto, ben 22 giorni di dura prigionia al buio e con mani e piedi legati, lo ha segnato profondamente e il suo pensiero va a tutte quelle persone e colleghi di lavoro costretti ancora oggi per necessità economiche a lavorare nei Paesi ad alto rischio come la Libia.
Franco Falvo