Mi fa molto piacere che oggi la Commissione Ambiente presieduta da Mariolina Tropea con all’ ordine del giorno la problematica inerente la costruzione di un parco eolico sul Massiccio del Reventino – Mancuso ha detto “no alla costruzione del parco eolico perché rovinerebbe uno dei luoghi più belli incontaminati rimasti”. Siamo stanchi di veder contaminati tutti i luoghi naturali della nostra regione da queste mastodontiche “pale” che abbruttiscono il paese e lo inquinano. Proprio oggi mi è stato spedito un articolo che ci fa comprendere di quanti errori si commettono in nome di un progresso che a volte porta solo distruzione e nessun beneficio. E’ stato scritto da Alessandro Mantuano, un mio amico che ama molto la montagna e i paesaggi naturali e vale proprio la pena di leggerlo.Ve lo ripropongo per intero qui di seguito. (anche le foto a corredo dell’articolo sottostante sono di Alessandro Mantuano)
CUSTODI DEI LUOGHI, CUSTODI DELLA BELLEZZA
Ci sono dei luoghi dove ritorno appena essi mi richiamano. Sono i luoghi un tempo frequentati dalla gente di Feroleto o degli altri paesi dei monti del Reventino orientale. Antichi sentieri e mulattiere frutto della fatica degli uomini attraversano boschi di castagno, querceti, la faggeta di monte Condrò; attraverso queste antiche vie si gli uomini e le donne, della società tradizionale raggiungevano, a volte dopo diverse ore di cammino, i luoghi di lavoro legati alle attività silvo-agropastorali ed entravano in contatto con altri uomini e donne.
Oggi gli spostamenti non avvengono più a piedi, i luoghi di lavoro si raggiungono con i mezzi motorizzati attraverso strade asfaltate. I sentieri e le mulattiere dei monti del Reventino in molti casi sono scomparsi a causa del loro abbandono, permettendo alla vegetazione di ricrescere. Ma durante le mie peregrinazioni pedestri ho appurato che ancora è possibile recarsi per esempio dal paese a Forestella di Serrastretta camminando in un bel castagneto da frutto ancora coltivato grazie a una vecchia mulattiera che l’attraversa. Mentre sono ancora praticabili, per esempio, la mulattiera in parte scolpita nella roccia che collegava Feroleto al monte Mastro Ciccio e a Campodieci, un ampio pianoro dove fanno capolino tra gli ulivi eccezionali esemplari di roverella (la nostra quercia) che potrebbero avere trecento anni di vita, testimonianza dell’antico bosco che qui allignava, e che meriterebbero di essere tutelati e cioè sottratti a ogni tipo di taglio.
Camminando in natura, evidentemente non mi riferisco solo a quella conservata nel suo stato selvaggio, un intero mondo si dischiude ai nostri occhi, si svela a chi è ancora capace di guardare e di vedere: alberi ultrasecolari, grandi vedute dai punti più scoperti, poiane che veleggiano nel cielo, segni dell’uomo come le vecchie pastillare ormai abbandonate ( ma che potrebbero oggi tornare a nuova vita una volta restaurate e frequentate dai proprietari o nella migliore delle ipotesi rendendole fruibili a chi vuole conoscere l’antica coltura delle castagne ), acquari che permettono di raggiungere i greti dei torrentelli interrotti da pittoreschi salti d’acqua come le cascatine della Fiumarella di Jevoli o quelle del Tiritubo di Serrastretta, fontane, monolitici muri in pietra che ancora resistono alla forza del tempo, rupi dalla forza misteriosa nel bel mezzo di un bosco, gente del luogo pronta a raccontare di come si viveva un tempo lì. I luoghi allora ci parlono, ci dicono quello che sono e quello che furono.
Il ricordo del primo incontro con un luogo si rinnova sostituendosi e amalgamandosi con l’incontro successivo. E quando un luogo è rispettato dall’uomo è pronto ad accoglierci tutte le volte che lo andiamo a trovare, tutte le volte che entriamo in esso anche noi allora saremo pronti ad ascoltarlo e ad entrare in simbiosi con esso. Ci sentiremo ospiti, privilegio di chi viaggia, e infine ci vorremmo prendere cura di loro diventando i custodi della loro sacralità, della loro bellezza, del loro genius loci.
Alla fine del nostro peregrinare alla ricerca della loro bellezza ci accorgeremo che avremo ritrovato un po’ di noi stessi, perché forse quando camminiamo non facciamo altro che cercare il nostro Io più profondo, il nostro Atman e cioè l’interiorità dell’Io in attesa di fondersi un giorno con il Brahma, l’anima del mondo. Perdonatemi questo richiamo alle cognizioni sulle religioni indiane, che sarebbe interessante approfondire, ma l’ho fatto per azzardare una simmetria tra ciò che ho appena tentato di spiegare e la condizione che si può provare quando si immersi in natura: il sentirsi parte di essa, stabilendo un legame primitivo e spirituale. Come accadeva nelle società arcaiche o tradizionali (le antiche culture dell’Asia, dell’Europa e dell’America): non solo gesti quotidiani come la nutrizione erano considerati sacri ma anche elementi della natura quali un albero, una pietra, una montagna, potevano essere considerati sacri in quanto dotati di una realtà che li trascendeva o detto in altri termini costituivano una ierofania cioè una manifestazione del sacro. Cito Mircea Eliade, un antropologo e storico delle religioni di origini rumene vissuto nel secolo scorso, dal suo libro “Il mito dell’eterno ritorno”: “in mezzo a tante altre pietre, una pietra diventa sacra – e di conseguenza si trova istantaneamente saturata d’essere – perché costituisce una ierofania, o possiede del mana, o la sua forma mostra un certo simbolismo o anche perchè ricorda un atto mitico, ecc. (…) una roccia si rivela sacra perché la sua stessa esistenza è una ierofania: incomprimibile, invulnerabile, essa è ciò che l’uomo non è; essa resiste al tempo , la sua realtà si riveste di perennità. Una pietra delle più comuni sarà promossa <<preziosa>>, cioè impregnata di una forza magica o religiosa, solamente in virtù della sua forma simbolica o della sua origine: <<pietra di fulmine>>, che si suppone caduta dal cielo; perla, poiché viene dal fondo dell’oceano. Altre pietre diventeranno sacre perché considerate dimora delle anime degli antenati (India, Indonesia). I rimandi a concetti simili possono sembrare fuori luogo o meglio fuori tempo per noi individui dell’era postmoderna. Ma è il fatto di trovarsi al cospetto di certe meraviglie del Creato e quindi la frequentazione di luoghi numinosi a far scattare un senso del sacro, e quindi ad interessarmi di esso, anche in una società così desacralizzata come quella in cui viviamo.
Sicuramente scevri di ogni senso del sacro sono stati gli amministratori del comune di Feroleto in modo particolare negli anni settanta. Gli anni durante i quali, era sindaco Luca Rispoli, è stata cancellata gran parte della memoria storica ed architettonica dei feroletani: mi riferisco alla demolizione della chiesa di San Nicola (probabilmente di origine bizantina) per fare spazio a un manufatto di cemento armato di nessuna utilità poi a sua volta demolito negli anni successivi e alla demolizione del complesso monastico, costituito da una chiesa, da un convento e da tutto ciò che gravitava intorno (pozzi, orti), dell’ordine degli agostiniani. Inoltre sempre in quegli anni sono stati ricoperti di cemento gli acciottolati che caratterizzavano le vie del paese. Ma di questo argomento ricordo che già Franco Falvo ne ha parlato in alcune news precedenti o nei suoi libri di storia locale e comunque io potrei esserne il meno informato essendo nato proprio negli anni di quella apocalisse culturale.
Ma il riferimento non è inutile o scontato: oggi a Feroleto non resta che conoscere e far conoscere la cornice paesaggistica e naturale che l’abbraccia. Il mio invito sarà allora di riscoprire i vecchi sentieri, i boschi, le rupi, le acque, i grandi alberi, gli antichi segni degli uomini, giorno per giorno, a piccole dosi, camminando, come faccio io di tanto in tanto quando mi reco nei luoghi dei quali ho appena fatto cenno ma tanti altri ve ne sono su tutta la montagna del Reventino; per questo consiglio di leggere e consultare il libro “ Il Parco del Reventino” – guida storico-naturalistica ed escursionistica al gruppo dei monti Mancuso, Reventino, Tiriolo e Gimigliano- di Francesco Bevilacqua, Rubbettino editore. Sarà prima di tutto compito dei feroletani aprire gli occhi su ciò che ancora hanno di veramente bello e prezioso. Inaugurando un nuovo cammino e un nuovo modo di essere felici.
Attenzione! Già da qualche giorno associazioni ambientalistiche e comuni cittadini si stanno organizzando per scongiurare la costruzione di un “parco” eolico che ricadrebbe nei comuni di Lamezia Terme, Platania, Decollatura, Conflenti e Motta Santa Lucia. L’impianto eolico, se realizzato, cancellerà o comprometterà gravemente e per sempre l’identità estetica, culturale e naturalistica del Reventino. Sarà compito di ciascuno di noi opporsi a questo nuovo attentato alla bellezza dei luoghi nei quali siamo nati e viviamo.
Alessandro Mantuano