L’annuncio cita così e lo riporto quasi per intero per tutti coloro che sono interessati, naturalmente l’avviso è risvolto ai residenti del comune di Feroleto ma nelle altre bacheche comunali saranno sicuramente pubblicati avvisi simili.
“SI AVVISA LA CITTADINANZA CHE L’AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CATANZARO HA PREDISPOSTO IL SERVIZIO DI CONTROLLO A DOMICILIO DELLA MACELLAZIONE DEI SUINI DESTINATI AL CONSUMO FAMILIARE, NEI SEGUENTI GIORNI ED ORARI:
MARTEDI’ DALLE 14,00 ALLE 19,00
MERCOLEDI’ DALLE 14,00 ALLE 19,00
VENERDI’ DALLE 14,00 ALLE 19,00
SABATO E FESTIVI INTERA GIORNATA
IL CORRISPETTIVO DOVUTO PER LA VISITA SANITARIA DI OGNI SUINO E’ FISSATO IN € 25,00 DA VERSARE SUL CCP N. 15589880 INTESTATO A: ASP CZ SERVIZIO VETERINARIO AREA B DI LAMEZIA TERME. LA RICEVUTA DI PAGAMENTO DOVRA’ ESSERE ESIBITA AL VETERINARIO AL MOMENTO DELLA VISITA SANITARIA. Ecc….ecc……( leggere avviso completo sulla bacheca comunale di Feroleto).
PER QUALSIASI INFORMAZIONE E/O PER RITIRARE I MODULI NECESSARI, GLI INTERESSATI POTRANNO RIVOLGERSI AGLI UFFICI COMUNALI DURANTE IL NORMALE ORARIO D’UFFICIO. Feroleto Antico, 17/12/2014”
Parto proprio da questo avviso per ricordare un po come si svolgeva la macellazione del maiale nei nostri paesi riportando un mio vecchio articolo pubblicato sulla rivista Storicittà alcuni anni fa.
L’usanza di uccidere il maiale per il bisogno della propria famiglia sino a qualche decennio fa era quasi una regola in tutte le famiglie. Il periodo più indicato per questa particolare operazione era il periodo invernale.
Il maiale veniva acquistato nelle fiere del circondario e soprattutto a quella che si svolgeva in occasione della festa del santuario di Dipodi nei giorni di 13,14 e 15 agosto. Qui si radunavano molti commercianti di animali che vendevano gli animali soprattutto a gente di campagna che aveva la possibilità di allevare il maiale nel porcile; il piccolo maialino ( rivuatu ) veniva allevato sino a quando raggiungeva un peso tale da poter essere ucciso. Per lo più gli veniva dato da mangiare le rimanenze del pranzo dei contadini (“brodaglia”) e con castagne e ghianda.
Per la gente del luogo uccidere un maiale significava preparare la provvista di un anno intero. Del maiale veniva utilizzato tutto: carne, intestini, e persino i suoi peli (setole) impiegati per fare pennelli; invece la carne della testa, il cuore, le orecchie e i piedi venivano impiegati per preparare la gelatina.
La sua uccisione costituiva sempre un giorno di festa poiché intorno ad esso si riunivano tantissimi amici e parenti.
Questo rito aveva inizio alle prime luci dell’alba accendendo un grande fuoco sul quale veniva posto un tripode con sopra la cosiddetta “quadara”, una grande pentola colma d’acqua. Quando questa raggiungeva l’ebollizione allora iniziava il lavoro vero e proprio.
Gli uomini si recavano nel porcile, prelevavano l’animale legandogli per bene il muso con una cordicella per evitare morsi e lo immobilizzavano su un tavolo costruito per l’occasione dove veniva ucciso con una coltellata alla gola.
Le donne erano pronte a raccogliere il sangue col quale poi preparavano il “sanguinaccio”ottenuto con l’aggiunta di cacao e pinoli.
Appena accertata la morte dell’animale la prima operazione che veniva compiuta era quella di versargli sopra dell’acqua bollente per grattargli “la cotica” e quindi togliergli le setole. Dopo averlo pulito per bene con la lama dei coltelli e con l’acqua calda, il maiale veniva appeso a testa in giù “allu gambillu”, arnese di legno legato con una robusta corda ad una trave ben resistente.
Le donne si recavano al vicino torrente a lavare gli intestini che poi servivano come involucro esterno per le salsicce e le soppressate . Gli uomini nel frattempo, dopo aver selezionato le varie parti del maiale, iniziavano con i coltelli a tagliuzzare la carne che non era destinata al grasso e ai capicolli, a piccoli pezzettini e la deponevano nella “majilla”, grosso contenitore in legno fatto quasi sempre artigianalmente dove la carne veniva impastata per bene a mano e veniva mescolata con conserve casarecce e con una quantità ben definita di sale. Dopo aver lasciato riposare il tutto per qualche ora, dopo aver predisposto gli intestini del maiale ed aver pranzato in un clima di allegria e di festa si passava all’operazione più delicata: riempire gli intestini e fare così le salsicce e le soppressate. Una persona aveva il compito di riempire la “macchinetta per le salsicce” con la carne, un altro era addetto a girare la manovella della macchinetta , un altro ancora a riempire le salsicce e le soppressate mentre alle donne solitamente veniva affidato il compito di legarle a collana con lo spago in modo che tra uno spazio e l’altro non rimanesse aria..
In serata veniva messa sul fuoco la “ quadara” ed in essa venivano immerse le “frittule” ( la pelle) e gli “ossi” del maiale che venivano cotti per tutta la notte. La mattina successiva era dedicata a fare le pancette, i capicolli e la gelatina.
Toccava agli uomini appendere le salsicce e le soppressate in un luogo asciutto e chiuso e dove poteva essere acceso il fuoco per farli asciugare con il fumo. Questa particolare operazione veniva ripetuta per diversi giorni ed era necessaria per dare al salame un sapore più casereccio ed una giusta essiccazione.
Per i ragazzi questi due giorni dedicati all’uccisione del maiale erano momenti di divertimento e di svago mentre per gli adulti significava farsi le provviste per tutto l’anno.Oggi sono in pochi a praticare questa usanza perché ci siamo modernizzati e perché le leggi per poterlo fare come un tempo non lo permettono. Franco Falvo.