Una pagina molto bella scritta nell’ ottocento nella quale Giuseppe Maria Alfano nella sua opera “Istorica Descrizione del Regno di Napoli” , pubblicata nel 1823, narra le vicende che hanno portato alla nascita di Feroleto Antico e di Pianopoli. Naturalmente tanti altri scrittori, viaggiatori e storici hanno parlato delle origini e della storia di Feroleto e di Pianopoli esprimendo altre considerazioni ed altri dati e che sono stati pubblicati sui miei libri di storia locale, dati e notizie che comunque che non si discostano molto da quelle dell’Alfano. Senza aggiungere altri commenti riporto integralmente lo scritto dell’Alfano come appare nel suo libro. “Feroleto diviso in due terre, cioè superiore e inferiore, poco meno d’un miglio l’una dall’ altra distante. Il suo titolo di Principato è di Aquino Pico oggi Reg. Fu distrutto dal terremoto del 1783, ma dal Re N,S. rifatto in miglior forma. Anticamente era un sol Luogo, dove oggi si chiama Feroleto vecchio, o sia Feroleto Terra; ma per un violento terremoto del 1638, caduti essendo molti edifizj, e dentro a quelle rovine rimaste sepolte più di 70 persone, alcuni abitatori dopo quel flaggello vollero fabbricare sulle antiche muraglie rovinate, ed altri o perché abborrirono l’antico suolo, o perché altrove crederono di stare più agiati scesero in un ampia pianura, dove col consenso del Padrone feudatario formarono la loro nuova abitazione, e la chiamarono Cultura. La situazione di Feroleto antico, essendo sovra di una scoscesa collina esposta al mezzogiorno, e per esser difeso a Ponente da un piccolo fiume, a Levante da un profondo vallone, e da un aspra Montagna nel Settentrione, ci fa credere, essere stata edificata nell’ VIII Secolo da’ saraceni, perché stando in questo sito il popolo radunato, potea far fronte a Molesti Aggressori; e perciò vien chiamato Feroleto da Fero, et Lethum, che esprime coraggio. Produce grani, granidindia, legumi, frutti, vini, olj, castagne, ghiande, lini, gelsi, pascoli, e cacciagione. Fanno di pop. L’un l’altra, e l’ altra Terra 2779.”
Franco Falvo
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