Leggiamo le riflessioni di Carlo Petrini, presidente di Slow Food, in attesa del dibattito. “Quest’enciclica è innanzi tutto una dura ma obiettiva presa di coscienza sulla realtà della nostra casa comune, la terra con il suo Creato. È lucidissima nell’analisi di quanto danno abbiamo fatto alle cose e alle persone impostando i nostri modelli di sviluppo in maniera dissennata, per cui abbiamo lasciato che la nostra politica soggiacesse all’economia e l’economia alla tecnologia. Nella sua prima parte lo scritto è un perfetto riassunto, altamente educativo, della situazione in cui si trova il mondo: inquinamento e cambiamento climatico, la questione dell’acqua (l’accusa verso chi privatizza questa risorsa è senza appello, cfr n. 30), la perdita di biodiversità con le conseguenze del deterioramento della qualità della vita umana, il degrado sociale, il diffondersi dell’iniquità in un mare d’indifferenza e di presunta impotenza. Un quadro che non lascia spazio a dubbi, neanche scientifici: «Su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere un dialogo onesto fra gli scienziati, rispettando la diversità di opinione. Basta però guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune» (n. 61). Ci parla della realtà e dalla realtà parte per le considerazioni successive.
La novità sta innanzi tutto nel messaggio davvero universale di cui si fa portatore Francesco: egli intende parlare anche a chi professa altre fedi e ai non credenti, si rivolge a tutti.
Nell’esortazione a coltivare e custodire, al di là di un epocale senso filosofico e teologico che sta tutto nella definizione di «ecologia integrale», si intravedono anche alcune stringenti questioni che si possono definire politiche: hanno una dirompenza tale da spingerci senza tante possibilità di scelta a un mutamento radicale, che dovrà rinnovare sia l’uomo sia le cose fatte dall’uomo. Nel testo di Francesco non mancano riferimenti chiarissimi e trasparenti a un sistema tecno-finanziario che non funziona e che dimostra ogni giorno la sua incompatibilità con una società armonica e giusta.
Non solo, ma la centralità della politica, intesa come la capacità di disegnare il mondo che vogliamo e di compiere le scelte necessarie per realizzarlo, è riaffermata dal Santo Padre proprio a fronte di un momento storico in cui l’inseguimento quasi spasmodico del profitto impedisce che i governanti prendano decisioni lungimiranti, capaci di immaginare un futuro oltre le scadenze elettorali.
L’enciclica ci chiede di partire dalle risorse, dalla terra, dall’acqua, dall’agricoltura e dal cibo, quindi da un afflato ecologico che però immediatamente comprende anche l’uomo e non può più tollerare le ingiustizie che perpetriamo, tanto alla natura quanto ai nostri fratelli e sorelle. Una nuova ecologia che parte da lontanissimo, anche dai testi biblici, e che oggi ci richiede una «conversione» (n.216).
Credo che questa enciclica scontenterà molti potenti (per esempio con il riferimento alle monocolture, al potere delle multinazionali del cibo e delle sementi, la riflessione sugli OGM), e per questo forse sarà aspramente criticata da alcuni, ma è quanto una moltitudine enorme di esseri umani chiedeva e aspettava per imprimere una nuova forza e luce sulla strada del cambiamento.
Tornando a san Francesco, c’è una frase a lui attribuita che mi sembra una chiusa perfetta per ogni ragionamento attorno a questo scritto del Santo Padre: «Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile». Nulla ci deve spaventare in questo compito a cui siamo chiamati, credenti o non credenti .